...che ti tenesse compagnia per molti giorni, una lettera da chiudere e riaprire come un carillon e che continuasse a suonare a lungo. E ogni volta in un modo diverso.
Ci saranno dentro i giorni e le notti che abbiamo passato insieme, tutti i posti in cui siamo stati, le emozioni che ho sentito. Come se ti stessi parlando, ma senza dirti niente di preciso. Non ho paura che tu possa perdertici dentro. Voglio ricordare. E aiutare te ad entrare dentro i miei ricordi perché diventino anche tuoi. Perché tu possa avvolgerteli attorno e scaldarti al loro fuoco.
[…]
Nemmeno una parola.
Sto in silenzio. Assomiglia ad una preghiera, ma dentro le parole continuano a combattere, a confondersi, ad accavallarsi. Oggi pomeriggio, alle tre in punto, ho guardato il cielo sopra la mia testa. Il tuo aereo era lì. È stato lì per qualche secondo, poi è sparito dentro l’azzurro limpido. È rimasto soltanto l’azzurro. Sono rimaste solo le parole che non ti ho detto. Cielo e parole che continuano a stare sopra di me, a muoversi solidi, a fare rumore. Tutte le cose che non ti ho detto, e quelle che tu non hai detto a me. Un peso che mi schiaccia come un macigno trasportato sulla schiena.
Guardo fuori dalla finestra e vedo linee blu e bianche oltre il vetro. Riesco a ricordare solo inquadrature, frammenti di sogni, come spezzoni di film e vecchi superotto restaurati e incollati assieme senza alcun nesso. Sarà che quando si è soli, i pensieri si sentono liberi di assalirti, di costringerti a pensarli anche quando non ne avresti voglia. Corrono tutti assieme, ti si buttano contro, cercano di scavalcarti.
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Silenzio. Scrivere senza parole. Dipende dalla sintassi forse. Fare in modo che le parole assumano ruoli differenti, che si incastrino con una forza nuova. Ci hai mai pensato? Le persone con cui si riesce a stare in silenzio sono poche. La gente pensa che stare insieme voglia dire parlare e così le parole diventano panico, imbarazzo, i vuoti sono momenti da riempire. Stare in silenzio invece è pienezza, è condividere l’essenziale. La felicità è inspiegabile, è come un’acqua calma che sale dentro, muovendosi lenta, con un ritmo simile al battito del cuore. Ho sentito qualcosa di simile a questo, insieme a te.
Ho scritto molte lettere. Le ho scritte in tempi diversi, in lingue diverse, ho comprato francobolli di tutte le pezzature. Ho scritto a mano, a macchina, col computer. Questa volta vorrei provare a scrivere col silenzio.
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Oggi i miei occhi alternano pieni e vuoti. Pieni e vuoti come tutti gli spazi aperti del mio corpo adesso che non sei qui. Sono stata così: riempita. Di te. La testa invasa da immagini che ti riguardano. E c’è un intero universo di parole che non conosco, riguardo a te. Ogni contatto tra pelle e pelle, tra lingua e pensieri, ha bisogno di una nuova traduzione secondo regole che ancora non conosco. Le cerco come nelle fiabe si cercano tracce della principessa scomparsa. Saranno forse briciole di pane che brillano alla luce della luna. Una scarpa di cristallo, oppure un capello confuso nella polvere. Cerco la chiave che possa aprire lo scrigno magico. Forse è una parola. O un soffio silenzioso.
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Continuo a scrivere. Il pomeriggio è di gomma. Si scioglie sotto le ultime onde di sole. Cola sulla testa delle case, sui rami degli alberi, su tutte le cose. È azzurro e arancio e scurisce in fretta.
C’è un deserto nelle tue parole, a volte, che non sono capace di attraversare. Dici di essere tranquillo con la voce di chi ha smesso di farsi domande. Sei stanco. Ma io ti ho conosciuto vitale, dirompente, appassionato, lirico, devastante, devastato, bastardo e vivo. Ti volevo così e forse non eri tu. Eppure, ora che sei lontano, ormai inafferrabile, tutto dentro un’altra vita, continuo a pensare che sei tu l’uomo che avrei voluto, ancora simile a quello che vorrei, nonostante tutto. Resta amarezza, perché tu sei amaro. Però il tuo corpo canta: niente dolcezza, solo corpo.
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Ci tornerai mai, qui? Dentro questa casa, in queste stanze vuote? Io non lo so. Continuo a scrivere lettere, ad accumulare frasi. Pesano, sai? E mi confondono. La luce si inclina sul tavolo, la tazza di tè fuma accanto al mio avambraccio. Pomeriggi interi con la mano stretta attorno alla penna o con le dita che battono incerte sulla tastiera. Attorno a me fogli di carta con frasi appuntate e poi riscritte sullo schermo freddo per farle diventare vere. E i ricordi, che come ospiti attesi arrivano e bussano alla porta prima di rivelarsi.
Ricordi.
[…]
La notte affonda nel nero. Fuori dai vetri non riesco più a distinguere nulla. Anche i lampioni si sono spenti. È la seconda metà della notte, quella più cupa, quella che mi fa paura. È adesso che tutti i ricordi si fanno più aguzzi. È adesso che sento la stanchezza salire nelle mani e nelle frasi che scrivo. La mia lettera invecchia di colpo, la voce si fa sottile, appena un sussurro spaventato. Resuscito giorni e notti, posti e cose. Mi sento un’apprendista. Piccola maga che cerca di far combaciare voce e tempo e sospetta che questo sia davvero pericoloso, ma continua a farlo. Non cede alla paura e nemmeno al sonno.
Voglio dirti tutto. Pensare tutto e scriverlo. Dirti tutte le cose che ancora non ti ho detto, farle suonare e prolungare quel suono stentato e storto, piegarlo a una specie di musica.
Voglio dirti tutto.
Il tuo viso, le tue mani, la voce e le cose che hai lasciato si accumulano su di me, mi vestono. E a seconda della stagione, a seconda dello sguardo, i vestiti cambiano e i tuoi fragili doni si trasformano in abiti regali da principessa delle fiabe, oppure in stracci logori da barbone.
Le parole non raggiungono il nucleo caldo. Le parole si sfaldano sotto le dita, sono unghie fragili, da limare e lucidare.
Mi manca il tempo. Questa notte sta per finire e il sonno vuole afferrarmi. Se fossi ancora capace, come lo ero da bambina, di far cantare il silenzio, ora potrei chiudere gli occhi, sollevare appena le dita nell’aria e far muovere gli oggetti. Se fossi ancora capace.
L’architettura minima di questa lettera si sta dissolvendo, lo vedi.
Cade a pezzi, si ingarbuglia. O forse, le parole scritte, come gli eventi e le persone, si condensano attorno ad un nucleo secondo una configurazione impossibile da pianificare.
C’è silenzio nella mia stanza. Quel tipo di silenzio che puoi sentire soltanto di notte. Le foglie delle betulle che frusciano sembrano monete che qualcuno scuote dentro la mano chiusa.
Ho scritto tutto il giorno e tutta la notte. Mi ha preso tempo, questa lettera. Sembra che il mondo sia scomparso. In casa non c’è nessuno. Sto qui e sento tutta la distanza.
Ho trovato un tuo messaggio sulla mia agenda. Un foglietto sottile scritto a matita. Poi ne ho trovati altri. Erano scritti a penna, con l’inchiostro colorato oppure nero; altri ancora, erano scritti in gesti che non si possono leggere su carta, gesti che ricordo soltanto io.
Grazie.
Anche per tutta la tristezza che mi hai messo dentro.
Era passato troppo tempo dall’ultima volta che qualcuno mi aveva toccato così forte.
Mi sento come se mi stessi dissolvendo.
In silenzio.
Simona Vinci "Lettera col silenzio" (In tutti i sensi come l’amore)
Bello bello davvero questo tuo spazio, mi ci perderei per ore a leggerti perchè la tua mano usa quell'inchiostro indelebile che ti scolpisce dentro tutto un mondo indissolubile fatto solo di amore.
RispondiEliminaA presto.